Vacanza a Zanzibar resoconto di viaggio

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Resoconto di viaggio, racconti e fotografie del viaggio vacanza a Zanzibar dal 22 luglio al 6 agosto 2022.

Vai al fotoalbum completo del viaggio vacanza a Zanzibar

Una vacanza totalmente fai da te protagonisti io (56) mia moglie Alessandra(😊) e figlio (12). Per far capire che tipo di vacanzieri siamo ci descrivo un po’: normalmente in vacanza ci si sveglia con calma a parte se c’è qualche appuntamento (esempio: immersioni o un tragitto particolarmente lungo da fare). Colazione in alloggio. Pranzo panini con quel che si trova, all’ora che capita. Mia moglie fa una lista delle cose da vedere assolutamente. Io la seguo ma in ordine casuale. La mattina vedo come tira il vento, la voglia, la stanchezza del giorno prima, il meteo e decido dove andare tra le destinazioni previste. Spesso però se trovo una strada o una indicazione che mi ispira mi lascio deviare. A volte succede che per cercare magari una spiaggia isolata vista su Google Maps satellitare imbocco strade che poi devo percorrere in retro perché sono senza uscita e non c’è neanche lo spazio per girarci. La maggior parte delle volte però finiamo in posti fighissimi. Cerco le cose fuori dalle normali rotte turistiche. Insomma non facciamo grandi programmi si naviga a vista.

Mentre ero lì ogni giorno ho scritto un breve racconto di alcune cose che sono accadute o di esperienze vissute. Un po’ romanzate, un po’ (anzi sempre) ironiche.

Le ho chiamate pillole e sono 16 + 1.

Per comodità in questa pillola introduttiva darò alcune informazioni generali spero utili.

Aereo: siamo partiti da Malpensa con Kenya Airways. Andata scalo Parigi Nairobi, ritorno Nairobi Amsterdam. Al tempo della prenotazione era il più economico con meno scali. Consigliato prenotare molto molto prima. Ci sono anche voli charter diretti dall’Italia tipo Verona Zanzibar. Sono quelli dei tour operator ma lo ho scoperto dopo.

Covid: sul volo europeo pochi con la mascherina. Obbligatoria sul volo fino e da Nairobi. Ci hanno sempre chiesto il green pass all’andata.

Covid II la sfiga: esattamente una settimana prima di partire sono risultato positivo e purtroppo non asintomatico. Avevo la quarantena fino al 3 agosto. Sono stato malissimo tre giorni (sono vaccinato booster). Il primo tampone per uscire dalla quarantena lo potevo fare il giorno stesso della partenza. Era quel periodo di luglio dove salivano i contagi e sentivo da più voci che per negativizzarsi passavano almeno 2 settimane. Avevamo perso le speranze di partire. Aereo alle 17:30 da Malpensa (siamo di Bolzano). Alle 8:00 apriva la farmacia. La sera prima col tampone casalingo ero ancora positivo. Per scaramanzia non abbiamo fatto le valigie. Vabbè inutile che crei suspence tanto lo sapete già che poi siamo partiti. Era la prima volta che non facevo assicurazioni annullamento (così imparo tiè).

Vaccinazioni: abbiamo fatto tutte quelle consigliate compreso il costosissimo trattamento antimalarico con Malarone. Quasi 400 euro per tre persone. I conti delle vaccinazioni devono ancora arrivare. Normalmente per chi va in resort non le consigliano ma non è il nostro caso. Poi, forse qualcuno ricorda il post, io sono quello che nel 2019 in Messico si è beccato una rarissima malattia trasmessa dai pipistrelli stando male per tre mesi.

Alloggio: abbiamo deciso di stare a Nord per via delle minori escursioni delle maree. Trovato un bungalow su Airbnb a Nungwi. Occhio alla storia dell’acqua calda (vedi pillola apposita). Posto fighissimo (ma spartano eh). Sazani Bungalows Nungwi.

Auto: presa auto a noleggio tramite un amico del gestore del bungalow. 30$ al giorno. Potrebbe anche non servire, vedi pillola apposita. La benzina costa ca. 1,22 euro.

Patente: ho (inutilmente) fatto quella internazionale, ma basta un permesso che ti fanno qui. Me lo ha fatto il noleggiatore per 10$.

Guida: a sinistra, un delirio… vedi pillola apposita.

Moneta: scellino tanzaniano. Una sorta di vecchia lira. 10.000 scellini valgono ca. 5 €\$.

Quasi tutti accettano Euro o Dollari, ma se pagate in scellini conviene sempre. Al momento il valore euro/dollaro è uguale. In giro è pieno di cambia valute, il costo è allineato per tutti più o meno. Equivale a ritirare dal bancomat con commissione. Alcuni bancomat sono più convenienti di altri. Se ritirate 200 euro uscite con ca. 400.000 scellini in tagli da 10.000. Il portafoglio non si piega più. Monete usate poco almeno per uso turistico. Tutto va a tagli di 1000.

Ai pagamenti con carta di credito molti applicano commissioni extra fino al 6%.

Tassa di ingresso: 50$ a persona.

Lingua: con l’inglese andate ovunque, molti parlano anche italiano.

Clima: il periodo corrisponde al loro inverno, temperature dai 21 ai 29 gradi. Dovrebbe essere la stagione secca, ma è piovuto tutti i giorni. Qui il tempo cambia nel giro di mezz’ora. Clima umido.

Luce: siamo prossimi all’equatore alle 19:00 è buio.

Maree: zona nord poca escursione, zona sud da paura. Comunque anche a nord ci sono certe spiagge dove nel giro di un’ora la marea si alza e se fate una camminata rischiate di non poter più tornare via spiaggia.

Prese elettriche: tipo inglese ma hanno adattatori ovunque.

Immersioni: ne abbiamo fatte 4 (50$ a testa per immersione), spettacolari. Ho visto pesci che voi umani…vedi link videonella pillola apposita.

Telefonia: io ho un TIM business e ho bisogno per lavoro di avere il mio numero attivo. Con TIM business l’opzione mondo costa uno sproposito soprattutto se è cavallo del mese come nel mio caso. Credo mi verrà oltre 100 euro. TIM privati di mia moglie 10 giorni 30 euro. Ho comperato comunque una scheda locale con un tot di GB inserita in una saponetta Wi-Fi. In due settimane abbiamo consumato 10 GB (no streaming video, più che altro ricerche sul Google è un po’ di social).

Spiagge e mare: paesaggi da paura, acqua cristallina. Le spiagge fronte resort sono pulite e curate, le altre per niente e ai tempi odierni il mare porta parecchia immondizia. L’acqua calda… ma non troppo. Consiglio scarpette da scoglio perché quando c’è la bassa marea si possono fare lunghe camminate verso il largo ma meglio proteggersi i piedi da ricci, coralli, ecc.

La sabbia è finissima, farinosa.

Luoghi visti/esperienze fatte:

Spiagge di Nungwi, Kilindi, Muyuni, Mangapwani, Kiwengwa, Paje, Jambiani e Kendwa.

Tramonto a Kendwa.

Mangapwani: grotta degli schiavi e villaggio di lavorazione delle sardine (con guida trovata sul posto), vedi anche pillola Yussuf.

Stone Town e mercato (posto assurdo, ma assolutamente affascinante).

Casa di Freddy Mercury: entrato perché voleva mio figlio, ma francamente non vale la pena per il prezzo d’ingresso. Certo se siete fan sfegatati e volete vedere i manoscritti originali delle canzoni più famose…

Museo della schiavitù di Stone Town

Foresta delle mangrovie di Uzi island: finiti per caso. Un percorso assurdo e sfiancante su una strada che definire sterrata è un eufemismo. Ma paesaggio che merita.

Spice farm scelta a caso su Google Maps con annessa visita al villaggio, vedi pillola apposita.

Snorkeling a Mnemba e nuotata con delfini: anche qui siamo finiti per caso al porto di Muyuni e abbiamo scelto il primo barcaiolo che abbiamo incontrato.

Immersioni a Mnemba e nell’house reef di Nungwi.

Nuoto con le tartarughe nell’acquario naturale di Nungwi.

The Rock caffe per un aperitivo. Posto fighissimo.

L’isola che non c’è di Nakupenda. Merita assolutamente ma consiglierei una gita con pranzo sull’isola. Non c’è ristorante viene tutto cotto al volo sul fuoco.

Prison island e le sue tartarughe.Album foto: Zanzibar spiagge e tramonti

Pillole da Zanzibar #1 la guida (a sinistra)

Il primo impatto con Zanzibar è stata l’auto presa a noleggio. Toyota Rav4. Un fuoristrada? Ma no, mi basta anche una compatta. Fortuna che l’idea di cambiare è rimasta un pensiero. Scendo dall’aereo e mi trovo a guidare il mezzo nel traffico zanzibarino. Dopo Brasile e Messico pensavo di averle viste tutte ma la guida a sinistra ribalta ogni concetto anzi lo rende proprio speculare. Avrò acceso 20 volte i tergicristalli invece di mettere la freccia. in un’auto con guida a sinistra è tutto a destra ed è tutto speculare. Il problema non è tenere la sinistra, il problema sono le svolte, le rotonde, le rotonde, le rotonde… e soprattutto (le rotonde) qualsiasi situazione che richiede una reazione rapida. Già perché l’istinto ti porta a pensare vai da una parte mentre tu devi andare dall’altra. E qui non c’è neanche la scusa della targa estera che giustifica il tuo strano guidare. Ehm…ho già detto le rotonde (ripetere fino a che non si esce dalla stessa)? Sicuramente sarò più comprensivo quando vedrò un’auto inglese sulle nostre strade.

Qui il traffico è molto “creativo”. Auto private ce ne sono poche. Le strade sono piene di motocicli, van portaturisti, van taxi (dalla dalla), camion taxi, camion. Turisti fai da te come noi che guidano auto a noleggio ce ne sono pochi. In una pillola a parte parlerò delle strade…o meglio delle “fuoristrade”. Fortuna almeno che c’è il cambio automatico (a cui comunque non sono abituato) che leva il pensiero della frizione e della leva del cambio. Altra cosa da abituarsi sono i parcheggi. Qui non ci sono strisce colorate. Anche qui si ricorre alla “creatività”.

Pillole da Zanzibar #2 Alla vecchia maniera

Come location per Zanzibar abbiamo scelto un bungalow su Airbnb. Molto bello e selvaggio. Appena arriviamo il proprietario, gentilissimo, ci dice che non c’è acqua calda e che qui si usa alla “vecchia maniera”.

Alla vecchia maniera? Non c’è acqua calda! Panico negli occhi di mia moglie. Anzi panico è solo un eufemismo. Vediamo in cosa consiste la “vecchia maniera”. Praticamente si scalda l’acqua nel bollitore e la si versa in una bacinella miscelandola con acqua corrente fino ad ottenere la temperatura desiderata. Quindi con l’apposita scodella ci si bagna il corpo. Alla vecchia maniera…appunto! Beh dopo un giorno di madonne e sacripanti pare che il sistema funzioni. Certo non è la doccia calda a cui siamo abituati ma siamo in Africa baby. Hakuna Matata.

Pillole da Zanzibar #3 La partita di calcio

Ore 18:00 siamo in spiaggia per vedere il tramonto. Già, qui siamo sull’equatore per cui alle 19:00 è già buio.

Arriva un ragazzino nativo che in inglese ci chiede con cortesia ma con altrettanta determinazione di spostarci perché devono giocare a calcio. Lo stesso fanno altri ragazzini con altri turisti in spiaggia.

Eh? Sul serio? penso dentro di me quasi stizzito. Dura meno di un attimo il mio momento “proud to be tourist” per capire che giustamente ha ragione lui. Primo sono a casa loro, secondo fuck the sunset qui si gioca a calcio mica stiamo a fare i romantici in spiaggia. Non sono un amante del calcio ma qui pare che sia uno degli sport preferiti. Giustamente togliendo i livelli milionari del calcio moderno rimane uno sport semplice, puro, divertente e giocabile ovunque.

Queste sono le situazioni che più amo. Quelle vere, non create ad hoc per i turisti.

E così in men che non si dica la spiaggia si popola di centinaia di ragazzi che giocano a calcio regalandomi una fotografia ben più spettacolare del solo tramonto.

Pillole da Zanzibar #4 Primo giorno di immersioni

Venire a Zanzibar, essere subacquei e non fare immersioni? Non si può e finalmente questo è il primo anno che abbiamo potuto portare anche Giacomo sott’acqua fresco del suo brevetto junior. Abbiamo scelto il primo diving (Fun Divers Zanzibar Padi) che abbiamo trovato in spiaggia a Nungwi dove siamo si base. Prezzo non troppo salato, 2 giorni di immersioni 4 immersioni da gommone per 3 persone 50$ l’una, attrezzatura compresa benché in parte avessimo la nostra. Non mi aspettavo chissà che immersioni ma ero contento di far fare a Giacomo le sue prime immersioni al mare. Destinazione il reef vicino alla famosa isola di Mnemba, isola privata con un resort extra lusso di proprietà (pare) di Bill Gates. Messa la testa sott’acqua sono rimasto colpito dalla quantità e varietà di pesce. Era veramente da tanto tempo che non mi godevo così tanto una immersione. Non avevo neanche intenzione di fare video, volevo fare solo un paio di foto a Giacomo sott’acqua ma la videocamera era settata su video e nella custodia non ho possibilità di cambiare. Così mi son detto vabbè faccio qualche ripresa.

Immersione a Mnemba Island
Immersioni a Zanzibar Nungwi house reef

Se penso che sono le prime immersioni al mare di mio figlio lo invidio molto. Io ci ho messo 20 anni per vedere un cavalluccio marino, lui alla prima immersione. Per chi se lo chiedesse, vista l’età, ha un brevetto junior, ma io e mia moglie siamo entrambi istruttori per cui non ci hanno fatto problemi di sorta.

Pillole da Zanzibar #5 Buca, buca con acqua

Sì lo so sembra un volto.

Appena presa l’auto a noleggio guardo su Google Maps (sempre sia lodato) la posizione del nostro alloggio…in mezzo al nulla, nessuna strada lo raggiunge. Vabbè, mi dico, sarà una stradina privata non segnata. Giunti a Nungwi arriviamo al termine della strada asfaltata in una grande piazza con rotonda (sigh) dalla quale si diramano diverse strade (in quel momento non pensavo fossero tali) sterrate molto piccole. Dopo uno scambio di Whatsapp (sempre sia lodato) col proprietario, che ci manda anche una foto guida per giungere a destinazione, imbocco una di quelle strade sterrate. In quel momento mi è stato chiaro il perché mi abbiano noleggiato un fuoristrada. Nella stessa giornata scopriamo che a parte le main road asfaltata tutte le strade (!) interne sono delle vere e proprie piste da fuoristrada. Buche, buche con acqua, guadi, massi, solchi e molto molto ancora. La gioia per tutti i SUV dotati. Ma qui SUV se ne vedono pochi. Il mezzo che va alla maggiore è un Toyota Alphard, un minivan trasporto persone. Sospensioni e gomme qui sono messe a dura prova. Velocità media su queste strade pari a quella di un pedone. Per fare 100 metri se ne fanno almeno un terzo in più a causa delle sterzate continue per prendere le buche al meglio. In tutto questo non c’è traccia di segnali stradali e/o nomi delle vie (where the streets have no name). Quando ci si infila nel centro del paese non è dato sapere se la via che hai appena imboccato è senza uscita o meno. Per capirlo bisogna tenere d’occhio le facce dei nativi. Se ti guardano con sguardo interdetto significa che hai preso una strada sbagliata dunque meglio mettere la retro e ricominciare. Se ti guardano alla stessa maniera anche se hai preso la strada giusta ricorda che sei un bianco e qui ti guardano tutti così (il numero di turisti bianchi che girano “liberi” per l’isola è molto molto esiguo). Cioè capite è un casino. Assolutamente divertente ma un vero casino. Ogni volta che lasciamo la strada asfaltata parte la modalità Indiana Jones (tataratta ta ta ta…). Per assurdo ho scoperto che c’è una migliore copertura delle Apple Maps (che di solito ci azzeccano poco) rispetto alle mappe di Google, il che è tutto dire.

Il primo giorno per arrivare ad una spiaggia vista su immagini satellitari ho usato pure il drone per vedere la strada dall’alto. Ci si arrangia come si può, Hakuna Matata, Pole Pole…baby.

Pillole da Zanzibar #6 Voglio venire in Italia

Nel nostro girovagare finiamo a Mangapwani dove c’è da visitare una grotta. La strada finisce (con una rotonda) in un ampio prato dove c’è un pseudo bar e il parcheggio. Ci viene subito incontro un ragazzo nativo che si propone come guida. Molto educato e gentile, per nulla insistente. Ci propone per 40000 scellini tanzaniani (ca. 18 euro) di farci da guida per visitare le grotte. Grotte che un tempo erano servite per nascondere gli schiavi, ci racconta Yussuf, dopo l’abolizione della schiavitù a fine 800. I negrieri continuavano però i loro traffici umani e usavano queste grotte per nascondere gli schiavi in attesa della destinazione finale. Nella voce di Yussuf si distingue chiaramente una notevole emozione quando parla di schiavitù. Per noi occidentali è qualcosa che si è letto nei libri di storia o che si è visto in qualche film, per lui è decisamente qualcosa in più. Dopo l’avventurosa gita alla grotta Yussuf ci propone di farci visitare il villaggio dove viene lavorato il pesce dopo essere stato pescato. Distese immense di teloni arancioni con sopra milioni di sardine ad essicare. La notte gli uomini vanno in mare (ecco spiegato perché di giorno dormono ovunque) e di giorno le donne puliscono, cuociono e distendono il pesce. Infine Yussuf ci propone di portarci in una bellissima spiaggia. In effetti è così e da soli non ci saremmo mai arrivati. Yussuf starà con noi tutto il tempo perché, mi spiega, lui è la nostra guida e non sarebbe conveniente lasciarci da soli. Ci deve proteggere.

Parlando con lui ad un certo punto mi dice che a lui piacerebbe venire in Italia.

In quel momento mi sono imbarazzato. Ho visto Yussuf vagare in zona stazione nella mia città laddove si radunano tutti gli extracomunitari. Lo ho visto vittima di un sistema di accoglienza distorto e opportunista (per taluni). Lo ho visto additare da buona parte della popolazione come essere repellente e inutile. Lo ho visto finire in una inevitabile rete di malvivenza organizzata. Per quanto poco possa avere qui Yussuf, da noi gli verrebbe tolta anche la dignità. Ovviamente la mia reazione è stata molto più delicata. Se Yussuf ha un sogno chi sono io per smontarlo. Ma queste situazioni ti fanno riflettere e sicuramente ti aiutano a vedere il mondo in maniera diversa. Yussuf, 28 anni, una moglie, una figlia Aisha. Studia l’inglese e la storia per far meglio il suo lavoro, la guida. Sicuramente non tutti sono come lui, ma chissà quanti.

Curiosamente il selfie insieme lo ha chiesto lui e poi me lo ha mandato via Whatsapp. Io ho ricambiato con una foto dal drone mentre era in acqua che lui subito ha messo come immagine del profilo.

Pillole da Zanzibar #7 Security first

Scegliere un alloggio su Airbnb riserva sempre delle sorprese. A volte piacevoli a volte meno, vedi la pillola dell’acqua calda. Eppure il nostro bungalow è fighissimo. Su due piani, 4 letti matrimoniali e due bagni…e siamo in 3.

La scala che porta al secondo piano merita una nota particolare. È completamente priva di ringhiera. La scala non è finita. In calcestruzzo con ferri a vista. In foto non rende molto ma gli ultimi 4 gradini per uno come me che soffre di vertigini sono una vera esperienza. Le vertigini mi vengono proprio quando mi mancano entrambi i lati di un baratro. Non so se prenderli velocemente o lentamente. Ogni volta mi vedo già cadere trafitto dal tondino di ferro e dissanguare lentamente. Vabbè non esageriamo non è poi cosi tragica. Diciamo che è solo fuori dai nostri standard di sicurezza. Ma qui è abbastanza normale vedere situazioni di sicurezza che ad un occidentale paiono assurde. A cominciare dai bambini che giocano a un metro dalla strada dove passano a velocità folli camion e mezzi vari. Gli stessi giocano tra pietre, sassi, vetri e altre migliaia di situazioni di pericolo senza farsi male. Considerando quanti bambini ci sono dovrei vedere ogni minuto un grave incidente domestico. Eppure non è così. Questa cosa ha dell’assurdo. Noi occidentali che abbiamo in auto un airbag per ogni possibile osso fratturabile facciamo davvero fatica ad accettare la normalità di queste situazioni. Più andiamo avanti più veniamo iperprotetti da tutto. Il rischio poi però è di perdere quell’istinto di sicurezza che in queste popolazioni è sicuramente molto più alto del nostro. Per quello che poi alle minime situazioni fuori dagli schemi protettivi moderni si rischia di farsi male. Per carità nulla da dire su tutte le normative di sicurezza ma fino a che punto giovano veramente? Non abbassano forse solamente il nostro livello di attenzione rendendoci più insicuri e più dipendenti da fattori terzi? Chi può dirlo. Per il momento mi accontento di non scivolare sulle scale.

Pillole da Zanzibar #8 Slow food

Qui a Zanzibar mangiano un po’ dove capita, come capita. Ristoranti ce ne sono pochi, quantomeno nelle rotte extra turistiche che frequentiamo noi. I locali mangiano negli innumerevoli banchetti (vero e proprio street-food) che ci sono ogni 3×2. Banchetti di carne, pesce e patatine fritte (onnipresenti) oppure banchetti di frutta. I ristoranti sono locali con tavoli in cui si applica il principio letterale dello slow food ovvero Pole Pole, con calma senza pensieri, Hakuna Matata. Se ordinate da mangiare passa almeno un’ora dall’ordinazione, quando va bene. Più slow di così si rischia la fame. C’è solitamente un cuoco che con calma e molta rilassatezza prepara il cibo al volo. Se ordinate pesce, esce dal locale va a pescare, torna e poi cucina. Il riso viene cucinato al volo e sappiamo bene quanto tempo ci vuole per il basmati. Se ordinate pollo vedrete passare il cuoco correre dietro alla gallina. Ecco questo è il vero slow food, ovvero lento, letteralmente, anzi lentissimo. Qui i ritmi sono diversi e bisogna tenerne conto. Ti siedi alle 13 e ti alzi alle 15 e questo con locale vuoto. Non voglio pensare se ci fossero più avventori.

Un affollato ristorante

Dovremmo darci allo street-food anche se per il momento per il pranzo abbiamo risolto con pane e formaggino (lo so è una tristezza ma trovalo tu un salame in un paese musulmano) lasciando l’esperienza slow food per la sera. Ma va bene così, anche questo è Zanzibar.

Pillole da Zanzibar #9 Michaelo

Michaelo

Siamo su una bellissima spiaggia di fronte ad una serie di resort piuttosto enormi. Dall’Alpitour al Riu, ce n’è per tutti i gusti/portafogli.

È una delle spiagge più fotografate di Zanzibar vuoi proprio per la densità turistica vuoi perché è oggettivamente affascinante.

Sulla spiaggia ci sono gli immancabili Masai. Ragazzi dal fisico alto e snello con acconciature che io non posso proprio neanche definire e dall’abbigliamento tipico. Sembra di stare dentro un documentario di NatGeo. Con molto garbo ed educazione veniamo avvicinati da due di loro che parlano benissimo l’italiano. Questa è una zona particolarmente frequentata dai nostri connazionali. Uno di loro si chiama Michaelo, mi mostra pure il documento per farsi credere di avere un nome quasi italiano. Il suo amico invece dice di chiamarsi Kilimangiaro ma lo sgamo subito dicendo che è finto. È il nome per turisti, mi dice. Sono contenti che quest’anno sono tornati gli italiani, dopo due anni di Covid per loro è stata dura, niente lavoro. Lo scorso anno c’erano i russi ma quelli bevono solo, mi dice, e non comprano nulla. Gli italiani sono quelli che comprano di più. Così gli faccio un po’ di domande e mi racconta che loro vengono dalla foresta della Tanzania. Lì coltivano mais e/o pascolano le mucche. Non hanno né acqua corrente né elettricità. Lui ha scelto di venire qui a lavorare per aiutare la famiglia. Ha un figlio di 10 anni ma non è sposato. Le scuole buone costano e lui vive come può. Ha un banchetto nel Market Masai poco più in là. Mi racconta che lui qui è un irregolare. Dovrebbe avere una licenza che non ha e spesso la polizia gli crea problemi. Questa cosa mi lascia piuttosto basito. I zanzibarini, gente povera, che se la prende con i Masai, gente ancora più povera. Mi sembra una storia già sentita, una storia che si ripete a prescindere dalle latitudini.

Michaelo mi racconta ancora che loro camminano tanto, a volte anche intere settimane per condurre il bestiame. Lo ha fatto per 15 anni poi ha deciso di venire a Zanzibar per lavorare con i turisti.

Di Masai ce ne sono tanti in questa spiaggia. A guardarli nel loro stupendo aspetto viene quasi pena nel vederli ridotti a fare una sorta di comparsa di se stessi vendendo ninnoli.

Michaelo ha un modo di fare gentilissimo, ci girerà intorno per tutto il periodo che staremo in spiaggia. Da un lato è un bene perché gli altri vedono che tu ormai sei “suo cliente” e non ti disturbano più.

La foto la ha voluta lui, anzi se ne è fatte fare parecchie prima di trovare quella con l’espressione migliore. I Masai sono piuttosto narcisisti, ma del resto sono dei gran fighi e lo sanno bene.

…leggi anche le pillole 16 e 17.

Pillole da Zanzibar #10 La guida notturna

“E guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere

Se poi è tanto difficile morire”

…oppure venite a Zanzibar e guidate la notte. La roulette russa è garantita.

I zanzibarini non sono dei gran guidatori di giorno. Di notte però danno il meglio di loro stessi. Ma il merito non è della loro attitudine al volante quanto nel creativo uso delle luci.

Tutti i mezzi non hanno luci regolamentari.

Le luci di posizione sono sostituite da led di vario genere, colore e intermittenze varie.

Gli anabbaglianti praticamente non esistono o meglio se ci sono sono puntati alti per cui comunque ti abbagliano. Oppure non ci sono proprio e si passa dalla luce di posizione “led danzanti” alla modalità abbagliante. Chiamare gli abbaglianti come tali è un eufemismo. Sono veri e propri accecanti. Quando poi sono presenti i fendinebbia (Zanzibar è infatti famosa per la nebbia come in tutti i paesi tropicali 😃) questi sono sempre accesi e sempre puntati alti.

Un buon quarto degli autoveicoli poi ha un solo faro funzionante, oppure solo l’accecante funzionante, per cui voi credete di avere di fronte un motoveicolo e ad un certo punto si accende la mega illuminazione stile Tour Eiffel e ci rendete conto di avere davanti un camion.

Se vedete tre luci c’è la possibilità che di fronte a voi stia sopraggiungendo una moto che supera un veicolo oppure tre moto, oppure un veicolo che supera una moto oppure due veicoli che si superano (uno dei quali con un solo faro) e via così… L’interpretazione delle luci dei mezzi in strada la notte è difficile al pari dello studio dei segnali luminosi delle barche di notte per l’esame di patente nautica.

Giuro di non aver mai fatto così fatica a guidare la notte. Il problema poi è che non puoi neanche dire “me ne sto sulla mia sinistra” perché sulla corsia è pieno di bici, rigorosamente senza luci, pedoni, bambini, baratri, moto in contromano, bici in contromano. Inutile dire che l’illuminazione pubblica è attiva solo nei giorni di luna piena.

La mia macchina a noleggio non ha una sola luce originale. Tutte sostituite con led…ma i led quelli che da noi giravano una decina di anni fa che facevano una luce pessima.

Per guidare qui a Zanzibar ho dovuto richiedere un permesso speciale. Prima di andare via però voglio il brevetto di guida sulle strade di Zanzibar…anche in notturna.

Dulcis in fundo vi ho già detto, vero, che qui diventa buio (pesto) alle 19:00.

Pillole da Zanzibar #11 Hakuna Matata

Hakuna Matata è una locuzione che conoscono tutti soprattutto grazie al film Il Re Leone della Disney. Come ben cantato da Timon e Pumbaa significa “non ci sono problemi”, “senza pensieri” implicando una filosofia di vita che nel linguaggio spaghetti mandolino potrebbe essere riassunta in “stai sereno”, “scialla” o giù di lì.

Hakuna Matata è originariamente una locuzione swahili e significa letteralmente “non ci sono” (Hakuna) “problemi” (Matata).

Sicuramente il merito di averla portata ad assumere il valore di tormentone internazionale spetta proprio al film della Disney.

Di fatto però in Tanzania e Kenia è sempre stata una locuzione usata proprio per caratterizzare quel tipo di filosofia di vita ben descritta nel film della Disney.

Qui a Zanzibar lo dicono praticamente sempre insieme a Pole Pole che vuol dire piano piano. Jambo (che sarebbe ciao), Hakuna Matata e Pole Pole sono il bagaglio linguistico minimo che si apprende…per tutto il resto c’è l’inglese.

Oggi eravamo in visita a Stone Town la città vecchia della capitale, patrimonio Unesco.

Tra i vari posti che abbiamo visitato siamo stati alla cattedrale anglicana all’interno del museo memoriale sulla schiavitù. La cattedrale fu voluta dal vescovo anglicano Edward Steere per celebrare la fine della schiavitù a Zanzibar. La volle costruire proprio dove c’era il mercato degli schiavi nel punto esatto dove questi venivano sottoposti a tortura per stabilirne il valore. Se lo schiavo resisteva bene. il prezzo era alto, se piangeva molto basso.

Il vescovo Edward Steere fu uno dei fautori dell’abolizione dello schiavismo insieme al famoso esploratore David Livingstone.

Nella stessa chiesa c’è infatti una croce fatta col legno dell’albero sotto al quale Livingstone chiese che alla sua morte venisse bruciato il suo cuore mentre il corpo imbalsamato fu rispedito nel Regno Unito.

“Il mio cuore all’Africa, il mio corpo in patria.”Queste pare fossero le sue volontà.

Edward Steere oltre che vescovo era anche ingegnere e si preoccupò lui della progettazione della chiesa. Come materiale principale usò pietra corallina. Le vetrate le fece venire dall’Inghilterra e le colonne in marmo dall’Italia.

Due grandi colonne in marmo sono nell’abside mentre 12 colonne più piccole sono all’ingresso.

Durante la costruzione Steere dovette tornare in Inghilterra per un periodo e delegò la direzione dei lavori ai suoi sottoposti. Al ritorno trovò le dodici colonne piccole montate esattamente al contrario. Appena le vide esclamò Hakuna Matata. Da quel giorno la locuzione divenne famosa in questi territori. Era il 1879 o giù di lì. Questo ci ha raccontato la nostra guida insieme a molte altre curiosità e fatti terribili sul periodo della schiavitù.

Walt Disney doveva ancora nascere. Per cui quando sentite Hakuna Matata non pensate al facocero e al suricato quanto ad un vescovo (io me lo immagino tipo Aldo Baglio) che rientra, vede le colonne e urla: miiiiii storte me le avete messe, non vi posso lasciare soli un momento. Ma si chi se ne frega…Hakuna Matata.

Pillole da Zanzibar #12 Chiare fresche e dolci acque

In media ogni italiano, stando alle statistiche consuma 220 litri d’acqua al giorno. Bere, mangiare, lavarsi, annaffiare i fiori, ecc. ecc. L’acqua è “il” bene primario ma non sempre ce ne rendiamo conto. Qui si vedono costantemente girare in bici con delle taniche gialle piene d’acqua. Taniche che hanno riempito in uno dei punti di raccolta dove arriva la cisterna. È acqua desalinizzata per lavarsi. Ha un sapore pessimo. Portano le taniche chissà per quanti km in bici fino alla sua casa che non è servita né dall’acquedotto tantomeno dall’energia elettrica. Qui vivono in case in mezzo alla foresta. Nessun tipo di urbanizzazione. Devono procurarsi sia l’acqua per bere che quella per lavarsi. I più fortunati hanno dei serbatoi neri molto grandi altri si arrangiano così con le taniche.

Sicuramente noi ne sprechiamo troppa e loro ne hanno a disposizione troppo poca. È un mondo di enormi contrasti quello che si percepisce venendo in Africa.

In questi giorni di vacanza qui a Zanzibar penso spesso che forse era meglio venire in un resort, tagliato fuori dalla realtà locale, viziato e coccolato come fossimo in Occidente. A volte è meglio non vedere per non pensare alla miseria che c’è qui. Ci si sente ricchi ma però molto poveri dentro.

Pillole da Zanzibar #13 Eserciti scolastici

Girando per le strade di Zanzibar salta subito all’occhio la incredibile quantità di bambini che si vedono in giro.

Non conosco i dati statistici ma a occhio direi che sono proprio tanti. Lungo le strade si trovano moltissime scuole. Qui a Zanzibar la scuola dell’obbligo dura 10 anni. Quello che salta all’occhio immediatamente sono le divise. Maschi in pantaloni e camicia, femmine con vestito e chador (credo si chiami così, da una rapida ricerca ho visto che esistono decine di varietà per cui potrei sbagliarmi). Va tenuto conto che il 97% della popolazione è di fede islamica. Quello che ho capito è che ogni scuola utilizza una propria combinazione di colori per la parte sopra e quella sotto. Nero e bianco, giallo e nero, verde e nero, crema e blu, viola e marrone, bianco e verde e così via. Per cui girando per l’isola ci si imbatte costantemente in gruppetti di bambini in queste uniformi colorate. Oppure si vedono all’esterno delle scuole questi enormi eserciti di studenti tutti uguali. In molti paesi si usa ancora la divisa scolastica. Una volta si usava anche da noi. È sicuramente un modo per far sentire tutti uguali e allo stesso tempo tutti appartenenti ad un gruppo. Qui di certo non hanno bisogno di livellare le differenze sociali considerano che sono tutti poveri allo stesso modo. Ma vedendoli così in divisa sembrano davvero simboleggiare la grande forza e la potenzialità dell’educazione scolastica. Forse proprio la scuola e l’istruzione possono diventare armi per uscire dalla povertà.

È comunque bello osservarli, da un senso di speranza di fronte all’immensa tristezza nel vedere da così vicino la povertà di questa gente.

Pillole da Zanzibar #14 Amazon spostati

Avete presente il vecchio detto “non è la metà ma il viaggio che conta”. Ecco questa è un po’ sempre stata la mia filosofia di viaggio. Da quando avevo i capelli e giravo in moto l’Europa agli ultimi viaggi più esotici. Ho avuto la fortuna di girare il Brasile, diverse isole della Grecia, Thailandia, Messico e ora Zanzibar con un mezzo personale. In linea di massima partiamo la mattina con destinazione più o meno certa e torniamo la sera tardi. Quello che io amo di più è proprio il viaggio stesso, l’osservare la vita locale che in molti paesi si svolge proprio lungo le strade. Adoro imboccare strade senza indicazioni per poi trovarmi in luoghi stupendi anche se spesso diventano altrettanto lunghe retromarce. Cerco luoghi al di fuori delle mete turistiche. Qui a Zanzibar è davvero molto difficile orientarsi. Mancano completamente indicazioni di qualsiasi tipo. I turisti mezzo-dotati sono davvero pochi. Il turista tipico si fa portare in giro con i numerosi tipi di taxi che ci sono sull’isola per cui si avvale dei locali come strumento di navigazione.

Ma così però non puoi fermarti dove e come vuoi. È proprio così che il viaggio diventa la vera e propria esperienza.

Lungo le strade di Zanzibar si svolge la maggior parte delle attività commerciali degli isolani. E senza soluzione di continuità. Magari si dirada ma tendenzialmente lungo le strade troverete sempre piccoli edifici e baracchini di legno di fronte agli edifici o da soli. Queste piccole costruzioni sono adibite a case/negozio o solo negozio. Non ci sono quasi mai insegne. Sì compra ciò che si vede. La maggior parte vende dei frutti locali come banane, arance, noci di cocco, angurie, pomodori, patate, ecc. Poi ci sono i banchetti del cibo dove si possono degustare patatine fritte, spiedini di pollo o pesce e altre cose che non saprei definire. Ci vogliono tuttavia stomaci forti per osare mangiare in questi banchetti. Le condizioni igieniche non sono proprio quelle a cui siamo abituati. Molte guide sconsigliano infatti si farlo. Come avevo già scritto, anche andando in un ristorante locale la cucina non è molto diversa da quelle degli street food solo che “occhio non vede, stomaco non duole”. Quando vado a comperare il pane in panificio, me lo raccolgono da terra e lo incartano al volo, oppure lo mettono in sacchetti di plastica dove il vuoto lo fanno a bocca. Ma in fondo sono nato negli anni sessanta, un po’ di sani anticorpi me li sono fatti comunque.

Poi ci sono i minimarket che vendono un po’ di tutto, però giusto un po’. Tipicamente se ne girano 3/4 per comprare quello che serve. In un colpo solo diventa impresa ardua. Seguono i “casalinghi” con articoli di plastica di vario tipo dalle bacinelle per lavarsi agli scaffali. Ci sono le officine per bici, quelle per auto e per motociclette. C’è il falegname (qui fanno porte spettacolari), il lattoniere, quello che vende cemento e tondini in ferro. I mattoni li fabbricano in piccole quantità ma piuttosto frequenti, vuoi anche per ridurre la necessità dei trasporti. Poi scarpe, vestiti, pentole, bibite, eccetera. Avete presente quando i commercianti dei centri delle nostre città parlano di centro commerciale all’aperto per contrastare i moderni centri commerciali? Ecco qui è letteralmente così. Tutti vendono di tutto ovunque e a qualsiasi ora. Presso gli incroci di più strade si trovano spesso veri e propri mercati permanenti dove la scelta è più ampia. Ho visto una cosa che non mi sarei mai aspettato. In un “negozio” di elettrodomestici stavano riparando un ventilatore rifacendo la bobina di rame del motore. Altro che da noi, qui non buttano via nulla, riparano tutto.

Ma vi assicuro che girare per queste strade regala emozioni che non dimenticherete tanto facilmente.

Devi dire che è molto simile al Messico solo che qui mancano completamente le grandi catene di franchising alimentare come 7-eleven o altri convenience-store. Difatti qui si è molto meno facile trovare cibo spazzatura. Non a caso qui il sovrappeso e l’obesità non sono certo un problema diversamente dal Messico. Come direbbe un mio amico qui sono decisamente “fisicati” vuoi probabilmente proprio per l’alimentazione.

Pillole da Zanzibar #15 Il volto della miseria

Siamo stati a visitare una spice farm ovvero una coltivazione di spezie. Queste ultime sono una fonte importante nell’economia locale. La spice farm si trova all’interno di un villaggio.

Al termine del tour ho chiesto se potevamo visitare una casa. Volevo vedere con i miei occhi quello che già potevo immaginare. Dopo una consultazione tra loro delle guide hanno acconsentito e su un carretto trainato da un asino ci hanno portato all’interno e lì siamo stati accolti da una donna che ci ha aperto le porte della sua casa. Una casa tipica, di quelle costruite in legno, sassi e terriccio rosso con il tetto fatto con le foglie di palma. L’ingresso è costituito da una tenda o in altri casi da una porta in legno. L’atrio è all’aperto. La casa è costituita da più blocchi singoli con l’atrio in centro. Un blocco (in pratica una piccola casetta) è composto da cucina e camera da letto. Cucina si fa per dire. Una stanza di 2 metri quadrati contenete pentole e stoviglie. Non ci sono mobili, non c’è lavandino, min c’è elettricità e la luce entra appena. Questo tipo di costruzione non permette l’inserimento di finestre, ci sono piccole aperture per far entrare un po’ di luce.

Comunque ho notato che cucinano all’aperto usando il fuoco vivo.

A fianco della cucina c’è la camera da letto grande giusto lo spazio per farci entrare il letto. Non sono entrato per cui non ho visto di più. Un altro blocco della casa è il pollaio che si trova proprio dentro. C’è poi quello che potremmo definire il bagno, una area aperta con una sorta di buco coperto (suppongo il water) e lo spazio per lavarsi.

A fianco del pollaio c’è poi un’altra stanza che immagino sia la camera dei numerosi figli. Una piccola tettoia nell’atrio funge come una sorta di soggiorno.

Mentre osservavo tutto ciò ero preso da una sorta di disagio. La mia curiosità era scemata subito dopo essere entrato. Non vedevo l’ora di andarmene. Intanto nell’atrio erano giunte altre donne con altrettanti bambini. Forse più incuriosite loro da noi che viceversa. Ci hanno fatto vedere come si apre un cocco e come lo si lavora usando degli stranissimi ma semplici strumenti.

Nel frattempo i piccoli ci giravano intorno incuriositi anche loro e divertiti da piccoli giochi che facevo con loro.

Più di una volta mi sono chiesto come non facciano i bambini a farsi costantemente male nelle condizioni in cui vivono. Vedendoli da vicino noti poi che hanno diverse piccole cicatrici. Sì fanno male eccome, saranno anche di gomma ma sempre bambini sono.

Eppure qui sembrano tutti felici con il poco che hanno. Ma lo sono davvero? Non credo. Forse vogliamo crederlo noi per pensate che comunque “nonostante tutto” lo siano. Certo hanno la loro dignità, ci mancherebbe, ma qui il tasso di mortalità infantile è piuttosto elevato. L’età media è 60 anni. Ecco anche spiegato come mai di anziani in giro se ne vedono pochi. Malaria, anemia, polomonite e tutta una serie di altre malattie. Non per niente per venire qui sono consigliate una serie di vaccinazioni e l’assunzione di un farmaco contro la malaria (per cui non esiste vaccino) che ha un costo proibitivo. Noi in tre per tre settimane (2 durante la vacanza e una successiva) di pastiglie abbiamo speso quasi 400 euro.

La verità è che mi sono sentito proprio male. Tutto molto affascinante da un punto di vista fotografico e documentaristico ma straziante sotto il profilo umano. La mancia che abbiamo lasciato per la cortesia e il tempo che ci hanno dedicato è per noi una miseria ma spero un buon aiuto per loro.

È dura essere turisti in questi frangenti. Ti domandi se sia giusto questo contrasto tra ricchezza e povertà. Certo il turismo può essere una strada ma potrà mai riuscire lo sviluppo turistico a portare ricchezza a tutti? Dubito. Il turismo qui è sulla costa dove ci sono i panorami da favola e le spiagge idilliache. Si creano resort per ricchi occidentali che danno sicuramente lavoro a molti locali ma di certo non abbastanza.

Ma così è il mondo purtroppo. Questa visita al villaggio è stata un bene per la consapevolezza di apprezzare le nostre fortune e le nostre opportunità. Ho visto la miseria e la ho vista nei volti e nei sorrisi. Non la dimenticherò mai.

Pillole da Zanzibar #15 Beach boys

No non sto per parlare dei famosi The Beach Boys quelli di Surfin’ USA (robe da boomer) ma dei beach boys che popolano le spiagge di Zanzibar. Sono dei ragazzi locali che fungono da procacciatori di affari per servizi di ogni tipo, dal taxi all’escursione, al giro in barca, lo snorkeling, la foto con la scimmietta, gli anacardi, coccobello, insomma qualsiasi cosa vi serva il beach boy ve la organizza. Fantastico! Sì assolutamente. Solo che non vi danno pace. Nella lingua locale si chiamano Papasi che significa zecca. Nome più che “azzeccato”. Appena arrivate in una spiaggia ne arriva subito uno ma anche due. Hanno dei buffi nomi italiani (Paolino, Agostino, Toto Cutugno, Gianduiotto, ecc.), ma non escludo che abbiano un nome diverso per ogni nazionalità di turista. La prima cosa che vi dicono è Jambo (ciao) poi cercano di capire la nazionalità per poi passare a parlarvi con quel poco (a volte invece molto bene) di italiano che sanno. Tra le prime domande quando siete arrivati e quanto si fermate, giusto per capire cosa offrirvi. Poi passano ad elencare i loro servizi. Non ve la caverete con un “no grazie” perché allora scatta il “magari dopo”, “forse domani” o la proposta di un’altra cosa alternativa.

Un beach boy

Però sono molto educati e comunque non troppo insistenti. Se vedono che siete categoricamente non interessati vi mollano con un paio di Hakuna Matata e…taaac arriva il prossimo e si ricomincia.

Ecco il vero problema non è il singolo ma la ripetitività del tutto. Facendo una lunga passeggiata sulla spiaggia se ne affrontano in continuazione.

Io dopo aver capito l’andazzo ho cominciato a dire un rassegnato “già fatto” a qualsiasi cosa sin dal primo giorno.

L’atteggiamento migliore è quello del turista all’ultimo giorno di vacanza. Certo che se si è in un villaggio si viene sgamati subito ma non era il nostro caso. Per contro chi è in un villaggio è “protetto” fino a che rimane nell’area privata del villaggio, sorvegliata da guardie. Ma appena questi escono per raggiungere l’acqua vengono calamitati dai beach boys.

Comunque ribadisco non sono cattivi ragazzi nonostante il nome che gli hanno affibbiato. Anzi se bisogna fare qualche escursione è bene rivolgersi a loro perché si possono spuntare prezzi vantaggiosi trattando un po’ . Possono diventare molto utili. Sono anche un po’ furbetti nel senso che se capiscono che vi state dirigendo verso un ristorante (di vostra iniziativa) vi placcano e vi accompagnano come se vi ci avessero portato loro nella speranza di una mancia dal gestore.

Se non si mantiene un po’ una certa distanza si rischia di trovarseli sempre bonariamente tra i piedi. Bisogna avere pazienza e fermezza senza perdere la calma…già perché è un attimo dopo n volte che ripetete la stessa cosa. Solo in alcuni casi mi è capitato che dopo aver provato a vendere l’escursione prima, la collanina poi, passino a chiedere soldi solo per elemosina. Anche qui non bisogna cadere nella trappola. Il turista non è un bancomat ambulante e non si può far contenti tutti. Ci vuole un po’ di “pelo sullo stomaco” e non farsi prendere dalla compassione. Questo vale anche e soprattutto con i bambini che spesso e volentieri si avvicinano con dei visi che suscitano una tenerezza infinita e chiedono “one dollar”. Non credo che sia corretto assecondare queste richieste. Si rischia di far percepire l’elemosina come fonte di reddito e soprattutto rischiare che i bambini vengano sfruttati per questo.

È emozionalmente difficile resistere soprattutto considerando il divario economico. Per noi due euro non sono niente. Loro ci vivono un giorno.

Credo che su uno vuol far del bene ci sono modi molto più eticamente corretti che non dare l’elemosina.

Noi abbiamo sempre dato buone mance e tendenzialmente mai trattato troppo sul prezzo. Una richiesta di sconto ci sta sempre ma senza esagerare.

Loro comunque sanno che gli italiani sono i più “generosi” e i più facili da comprare.

Comunque con i beach boys ci vuole pazienza, tanta pazienza. La stessa pazienza che serve quando chiamano i call center per le offerte telefoniche, luce, gas, acqua, bitcoin e via dicendo.

In fondo per loro “noi” siamo un lavoro e qui a Zanzibar se togli il turismo rimane ben poco.

Poi l’isola non sarebbe tale senza i beach boys.

Altra storia sono invece gli altri occupanti della spiaggia i Masai di cui parlerò nella prossima pillola.

Pillole da Zanzibar #16 Masai a Zanzibar. Guerrieri, rubacuori, toyboy….ci sono o ci fanno?

La domanda è lecita soprattutto dopo due settimane di osservazione e contatto con questo curioso popolo. Ovviamene quelle che seguono sono puramente constatazione personali frutto anche di diverse letture di comportamenti visti in giro.

Del Masai Michaelo ho già parlato in una precedente pillola. Mi ha colpito la sua gentilezza e l’affetto. Dato che ci eravamo scambiati i numeri per via di alcune foto, tutti i giorni mi ha scritto il messaggio del buongiorno e della buonanotte. Mi ha mandato sue foto e video. Io ho che ho un certo odio verso queste forme comunicative ho sempre cortesemente risposto. Ho comunque capito che fanno così con tutti e soprattutto con tutte. Girando per le spiagge dell’isola i Masai si notano accompagnare ragazze/signore sole ma anche donne di una certa età sole o con il marito così come gruppi di ragazze e ragazzi. Come ho già detto sono oggettivamente dei bei ragazzi. Un fisico snello e asciutto. Alti con acconciature particolari. Vestiti in splendidi costumi colorati che si chiamano Shuka. Inoltre non dimentichiamo che il loro appellativo completo che è“guerrieri” Masai. Un tono di machismo in un aspetto delicato quasi femminile. Evidentemente il mix piace. Da una breve ricerca su internet scopro che sono diverse le storie d’amore sbocciate tra donne/ragazze e i Masai. Leggendo queste testimonianze ho però notato un certo format nei racconti. Come se tutte parlassero della stessa persona e delle stesse situazioni. Insomma un libro già letto. Il Masai conosciuto in spiaggia. Il racconto della sua vita, del suo villaggio dove ha lasciato la famiglia che aiuta a mantenere. Lo scambio di numeri e messaggi Whatsapp. Le numerose attenzioni, il bacio improvviso. Così forse per via della mia natura un po’ disillusa e scettica ho cercato altre testimonianze e ho trovato quello che avevo immaginato. Molti Masai hanno evidentemente capito come sfruttare il loro fascino. La storia che raccontano è molto probabilmente un format comune. Quando la “preda” è cotta a puntino scattano le richieste di denaro, per delle cure improvvise di qualche parente stretto oppure per altro motivo commovente. Succede anche che alcune “prede”, cotte a puntino, decidano si tornare e stabilirsi qui investendo magari in attività che si rivelano poi solo un modo per prosciugare soldi.

La cosa curiosa è che poi salta fuori che come i marinai hanno una donna in ogni porto. Due settimane di vacanze sono un po’ poche per poter dire di conoscere una persona con una cultura totalmente diversa (che tra il resto comprende la poligamia) e decidere di cambiare vita. L’amore è cieco ma il Masai ci vede benissimo. Sempre da alcuni racconti ho ritrovato alcune situazioni tipiche. Sulle spiagge si vedono moltissime ragazze/donne sole a spasso con i Masai e spesso in atteggiamenti affettuosi. Coppia di una certa età con Masai sempre appresso e alla prima occasione scatta la “fuitina” sotto il naso del marito. Donne sole che in una settimana si fanno prendere dal mal d’Africa. Anziane signore che lasciano l’eredità al Masai di cui si sono innamorate. Queste cose non le ho dedotte ma lette su diversi blog scritti da donne che ci sono passate.

Ovviamente ho letto anche altre testimoniante finite invece in maniera positiva. Non bisogna certo generalizzare non tutti i Masai sono uguali. Il Masai ha comunque un concetto di vita totalmente diverso dal nostro. Se l’obiettivo è la sopravvivenza probabilmente come dice un vecchio detto “in guerra e in amore è lecito tutto”…per loro.

Dove è la verità? Mah forse decisamente nelmezzo e vale sempre il vecchio detto fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Il cuore a volte gioca brutti scherzi.

Zanzibar è un paradiso e in paradiso la mela è sempre in agguato.

Pillole da Zanzibar #17 Masai: atto finale dall’Italia

Ho raccontato prima dei Masai e su come molti di loro usino diversi espedienti per scucire soldi ai turisti. Giocando su questioni di cuore con le donne e impietosendo gli uomini. Quando Michaelo ha cominciato con i Whatsapp mi sono subito insospettito. Ma poi ho pensato: su dai non essere sempre così dubbioso. I messaggi sono continuati ogni giorno. Oggi è arrivato quello che in fondo stavo aspettando, ovvero la richiesta di denaro, premessa da un vocale con foto dove mi mostra quella che (forse) è la sua casa.

Si conclude così un quadro piuttosto triste della vita che fanno questi ragazzi. Non li giudico con il metro con cui giudicherei un occidentale. Credo che la povertà porti a escogitare espedienti ben più gravi. Mi spiace solo che questo giocare con i sentimenti e le emozioni finisca però per fare comunque del male a qualcuno in particolare dal punto di vista sentimentale nelle persone più deboli.

Non risponderò a Michaelo, non ne vale la pena. Ma non per superbia, ma semplicemente perché non capirebbe che questo è un sistema che a loro porterà più danni che altro.

Il karma è un processo lento che passa anche dalla condivisione web.

Dal momento che tutti le mie pillole diventeranno un post sul mio blog lascio ai motori di ricerca il compito di aiutare molti turisti a prestare più attenzione ai comportamenti dei Masai di Zanzibar che più che guerrieri sono dei gran furbacchioni.

Conclusione

se siete amanti dell’avventura Zanzibar in versione fai da te, fa decisamente per voi. A volte però è faticoso e snervante. I primi giorni ero completamente sfasato non capivo nulla non riuscivo neanche a trovare del pane. Zanzibar con è come tanti altri paesi. Fare il turista fai da te ha bisogno di qualche giorno di ambientamento. I resort o villaggi bungalow attrezzati sono forse più indicati per chi ha figli piccoli. I zanzibarini sono gente molto disponibile pronti ad aiutare dietro un piccolo meritato compenso. Più di una volta avrei preferito avere un autista, specialmente la notte, e magari finire la giornata con una bella doccia calda.

Ma sono contento così. Non tornerò mai più a Zanzibar (c‘è un mondo la fuori da visitare) e sono contento di averla vissuta un po’ in maniera selvaggia…alla vecchia maniera direbbe qualcuno.

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